L’approvazione del decreto Aiuti conferma che si applica il regime “de minimis” per gli aiuti alle imprese che hanno subito un incremento del costo della componente energetica. Ne consegue che, in attesa delle paventate modifiche future, vengono tagliati i benefici relativi ai crediti d’imposta sui maggiori consumi di gas ed energia elettrica. Infatti, sugli aiuti concessi sotto forma di credito d’imposta per compensare parzialmente le spese di acquisto di gas ed energia elettrica per le imprese non energivore, con l’applicazione della normativa “de minimis” scatta un tetto oltre il quale le imprese non possono più ottenere le agevolazioni.
Il tetto è imposto dal regime “de minimis” che fissa un massimale ottenibile pari a 200mila euro, importo che viene raggiunto sommando tutti gli incentivi ottenuti nell’ultimo triennio. In altri termini, se un’impresa ha ottenuto 130mila euro partecipando a un bando Inail Isi nel 2020 e ha ottenuto un aiuto regionale in regime “de minimis” per un valore di 40mila euro nel 2021, ha attualmente disponibile uno spazio di soli 30mila euro per sfruttare il credito d’imposta sui costi energetici. Ossia la differenza tra l’importo massimo concedibile di 200mila euro e tutti gli aiuti ricevuti nell’ambito della normativa “de minimis” negli ultimi tre esercizi.
Ne deriva che, una volta fatti i conteggi di quanto spetterebbe all’impresa considerando il maggior costo sostenuto e la percentuale applicabile, la stessa impresa deve anche verificare se ha uno spazio adeguato per poter utilizzare il beneficio. Nell’esempio citato, se l’impresa a valle del calcolo avesse diritto a 150mila euro di credito d’imposta per i maggiori costi energetici, dovrebbe comunque ridurre il credito d’imposta utilizzabile a 30mila euro, perdendo così la possibilità di utilizzare 120 mila euro eccedenti che gli sarebbero invece spettati prima della modifica che ha introdotto il regime “de minimis” nell’ambito dell’incentivo.
La cosa si complica ulteriormente nel caso di un’impresa facente parte di un gruppo, poiché scatta, in questo caso, il concetto di «impresa unica». Il calcolo, oltre a riguardare la singola impresa beneficiaria, deve in questo caso essere allargato a tutto il gruppo. Ne deriva che in un gruppo di tre imprese che avessero teoricamente diritto a 100mila euro di credito d’imposta ciascuna, le tre imprese si troverebbero a doversi ripartire un ben più esiguo credito d’imposta complessivamente utilizzabile di 30mila euro. In caso di attribuzione a un’unica impresa, questa perderebbe la possibilità di utilizzare la residua quota spettante di 70mila euro, mentre le altre due, addirittura, perderebbero la possibilità di utilizzare tutti i 100 mila euro.
Il problema è emerso con la conversione del Dl Aiuti che ha previsto che “gli aiuti sono concessi nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato in regime de minimis”. Questa tipologia di regime era nata per concedere aiuti percentualmente più alti a progetti di importo così ridotto da non poter creare problemi di alterazione della concorrenza, principio alla base degli aiuti comunitari. Viene confermato che l’impresa può richiedere al fornitore di energia di effettuare il calcolo del risparmio teorico previsto. Questo è possibile se il venditore è lo stesso che riforniva l’impresa beneficiaria nel primo trimestre dell’anno 2019.
Entro sessanta giorni dalla scadenza del periodo per il quale spetta il credito d’imposta, il venditore deve inviare una comunicazione nella quale è riportato il calcolo dell’incremento di costo della componente energetica e l’ammontare del credito d’imposta spettante per il secondo trimestre dell’anno 2022. Rimane però a carico dell’impresa l’onere di controllare che il risultato del calcolo sia compatibile con il plafond residuo di “de minimis”.
Fonte: Il Sole 24 Ore - Primo Piano del 15 luglio 2022